I conflitti geopolitici al Polo Nord

Le rivendicazioni territoriali russe sul Polo Nord si fanno sempre più forti. Il caso è scoppiato a seguito delle dichiarazioni del Cremlino, dopo l’ultima missione – degna di Jules Verne – dell’esploratore Artur Chilingarov, inabissatosi a ben 14.000 piedi di profondità nel mar Artico, a piantare la bandiera russa.

Sale la tensione con gli altri Stati interessati: Danimarca, Canada, Usa e Norvegia ribattono e rivendicano per sé una fetta di Polo. Altre spedizioni scientifiche di queste nazioni sono in programma. Per piantare una bandierina sui fondali. Ma non si tratta di un Risiko impazzito.
Polo

Con l’aumento della temperatura e lo scioglimento dei ghiacci sono, finalmente, sfruttabili i giacimenti di gas e petrolio del Polo. Almeno un quarto delle intere riserve del pianeta è concentrato lì. Siamo forse tornati all’epoca d’oro delle esplorazioni, quando bastava piantare bandierina per rivendicare territori?

A chi appartiene il Polo Nord? In base a quale principio i russi lo rivendicano come parte del territorio di Mosca? Allo stato attuale, diritti particolari sul Polo possono essere rivendicati solo dagli Stati costieri, che si affacciano sull’Artico. Nella disputa c’è anche la Danimarca che si protrae nell’Artico grazie alla proprietà della Groenlandia. Il diritto internazionale, in realtà, ha sempre postulato la libertà dei mari. Da quando le tecnologie consentono lo sfruttamento delle risorse marine ed aleutiche, la giurisprudenza, invece, si è evoluta nella direzione della privatizzazione, o meglio, della demanializzazione dei mari. Ma a tutt’oggi non è agevole per i giuristi stabilire quale legge abbia carattere consuetudinario e sia, quindi, vincolante per tutti gli Stati, e quale tragga legittimità soltanto dalla sottoscrizione di un accordo.

Già l’istituto consuetudinario della zona economica esclusiva (zee) aveva fatto a fette, come una torta, il Polo; ma, in fin dei conti, non si era mai presa in considerazione la possibilità di sfruttare queste risorse. Ma ora le cose stanno diversamente. Potrebbe valere la pena rivendicare la calotta artica attraverso la “piattaforma continentale”. La piattaforma è un concetto giuridico tipizzato dalla Convenzione di Montego Bay – sottoscritta da tutti i Paesi di questa disputa, tranne gli USA (che accettano, però, la“piattaforma” come consuetudine) – che risale ad una intuizione del presidente americano Truman.

La convenzione dice che “lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare tutte le risorse della piattaforma, intesa come quella parte del suolo marino contiguo alle coste che costituisce il naturale prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene ad una profondità costante (200 m circa) per poi precipitare o degradare negli abissi”.

La zee di 200 miglia marine fu istituita proprio per le difficoltà tecniche di tracciare queste placche continentali con esattezza e per tutelare i Paesi che erano privi di piattaforme. Gli scienziati di Chilingarov, navigando negli abissi, dicono di aver scoperto che la placca russa arriva proprio fino al Polo. La fetta della Russia, quindi, sarebbe ben oltre la sua zee: si tratterebbe di circa 463.000 miglia.

La prima rivendicazione risaliva al 2001, in realtà. Allora la Russia fece formale richiesta al tribunale arbitrale del diritto del mare istituito dalla convenzione di Montego Bay di vedersi riconosciuta la piattaforma continentale per il tramite della placca di Lomonosov, che dalla Siberia giungerebbe al Polo; i giudici ritennero le prove addotte insufficienti.

La spedizione di Chilingarov è volta, quindi, ad ottenere nuove evidenze. Ma ha innescato, intanto, un’escalation scientifica della rivendicazione. Il ministro danese della ricerca, Helge Sander, ha già dichiarato che ci sono buone probabilità che la placca della Groenlandia si spinga anch’essa fino al Polo, proprio attraverso Lomonosov, che fra l’altro è anche collegata al Canada tramite le Isole Ellesmere; nel frattempo, il miraggio dell’oro nero, ha alimentato un forte movimento separatista groenlandese dalla madre patria.

Norvegia, Canada e Stati Uniti non sono stati certo a guardare ed hanno presentato le loro rivendicazioni, supportati dai loro esploratori. Cosa potrà succedere adesso? Innanzitutto l’istituto della piattaforma continentale è un diritto funzionale: lo Stato può esercitare il proprio impero esclusivamente per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma. Insomma, senza la capacità tecnologica per impossessarsi delle risorse, la rivendicazione non esiste. Se tutti vantassero una placca al Polo Nord, eventualmente, si potrebbe ricorrere ad una delimitazione delle zone di sfruttamento mediante il principio dell’equidistanza, qualora questo principio, non consuetudinario, fosse accolto dai ricorrenti.  Per ora, comunque, nessuno sembra essere disposto a farsi una guerra per tutelarsi. Le Nazioni Unite, intanto, visioneranno le prove raccolte dagli stati nel 2014 per poi decidere a chi debba, eventualmente, appartenere il Polo Nord.

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