Autostrade, ecco perché i pedaggi aumentano – intervista a Marco Ponti

Anno nuovo e nuovi aumenti, come sempre, per Autostrade. L’azienda ribatte che è tutto regolare. “Manca un’Autorità indipendente capace di prendere scelte autoritatitive e allocare le risorse in modo ottimale”, è l’accusa del professor Marco Ponti, esperto di economia dei trasporti. Ecco il reportage completo che ho pubblicato su Terra.

Anno nuovo e nuovi aumenti per autostrade e tangenziali. Anas fa sapere che è tutto regolare: «Sono stati firmati i decreti di concerto dei ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Economia e delle Finanze, sulla base dell’istruttoria condotta dall’Anas». Eppure, ad i consumatori sembra che il costo dei pedaggi aumenti sempre ed irragionevolmente. Alcune tratte, quest’anno, toccano dei veri e propri record: Ativa +6,23%; Novara Est-Milano +15,83%.
“Sono i costi di gestione e costruzione”, fanno sapere le concessionarie. Ma è davvero così?
In realtà, le autostrade, da sempre, sono la gallina dalle uova d’oro.

I pedaggi hanno rappresentato una vera e propria imposta occulta, ovviamente a carattere regressivo, cioè non equa perché non colpisce i più ricchi, ma semplicemente quelli che sono costretti a prendere la macchina, magari i pendolari. Con conseguenze per l’inflazione, legate all’aumento del trasporto merci, ragguardevoli.
Le autostrade furono costruite con danaro pubblico e ripagate dagli utenti, per motivi di pubblica utilità. Il fatto che ancora oggi non ci siano autostrade in Basilicata, da Taranto a Reggio Calabria, o in Sardegna, lascia supporre che le nostre autostrade abbiano essenzialmente lasciato inevasi i bisogni sociali di mobilità a esse connesse. Sin dagli anni ’50, in Italia, s’impose un modello di gestione che favorisse guadagni extra. Le autostrade erano costruite dal pubblico e gestite da concessionarie pubblico-private. Nonostante i pedaggi dovessero essere fissati a un livello tale da consentire la gestione in pareggio e addirittura diminuire, una volta ammortato l’investimento per la costruzione della strada, la legge 463 del 55 previde che l’eccedenza dei ricavi da pedaggi rispetto al piano finanziario fosse devoluta allo Stato.
Il prezzo, quindi, non era spontaneamente prodotto dal mercato, ma era il frutto di decisioni politiche: una vera imposta che permetteva allo Stato di battere cassa e anche di finanziarie i concessionari, spesso e volentieri carrozzoni politici che avevano l’obiettivo di piazzare gli amici del politico di turno.
In linea di principio, tutti questi soldi esatti dallo Stato potevano ancora tornare utili alla costruzione di scuole ed asili.

Invece, nel 1999, Autostrade per l’Italia, che rappresentava il 50% della rete e il 70% del traffico, venne ceduta ai privati, in blocco. Un vero peccato, se si pensa che Autostrade, fondata da Iri nel 1950, aveva una redditività altissima. Autostrade pagava ad Iri un dividendo che, dagli iniziali 16 miliardi di lire, era salito a 140,5 milioni euro nel 99. Lo Stato, allora, si trovò all’improvviso nella condizione di dover fare il regolatore; fu istituito un sistema, detto del price cap, che doveva impedire al privato di fare “superprofitti”, la qual cosa era molto probabile dato che le strade sono un monopolio naturale e Autostrade Spa non aveva concorrenza. Il Cipe, contestualmente, fissava una tariffa ottimale, che garantisse una remunerazione congrua del capitale, al netto degli investimenti che il concessionario doveva fare, liberando i consumatori dal rischio di pagare troppo.

Ma, in realtà, il concessionario continuava a fare superprofitti come prima l’Iri ricavava rendite: Autostrade, nel periodo 98-2002 , ad esempio, fece investimenti sulla rete molto inferiori a quanto previsto nel piano finanziario. Il problema, quindi, per i consumatori non era che le tariffe aumentassero, ma che erano troppo care rispetto a quanto i concessionari facevano.
D’altronde, per i privati, se il regolatore non è efficiente, è semplice lucrare superprofitti: basta sovradimensionare i costi o non fare gli investimenti. La soluzione a questo genere di problemi è, come fece la Thatcher, istituire un’Autorità indipendente dotata di vasti poteri autoritatitivi per imporre la tariffa ottimale.
Di fronte alle distorsioni del price cap, invece, il governo Berlusconi ha deciso di eliminarlo.

Parla Marco Ponti, “Il problema è che manca un regolatore indipendente”

Aumento delle tariffe in autostrada, ne parliamo con Marco Ponti, professore di economia dei trasporti al Politecnico di Milano, ex consulente della Banca Mondiale e del Ministero dei Tesoro.

Professore, i pedaggi aumentano sempre. Il problema non era il price cap, allora?
Il problema era e resta quello del buon regolatore, cosa che evidentemente manca ancora. Piuttosto, il price cap era, in linea di principio, un sistema efficiente ed equo. La formula prevedeva una X che esprimesse la remunerazione congrua del capitale investito, gli investimenti futuri e le modificazioni attese dalla competitività. Senza questa X, i concessionari potrebbero “comportarsi male”. Ribattono che non lo farebbero perché sono “persone per bene”, ma il sistema deve funzionare perché disincentiva operativamente i comportamenti opportunistici, non perché si basa sulla presunzione che i soggetti siano dei santi.

La soluzione quale sarebbe?
Istituire un’Autorità indipendente. Chi si occupa delle tariffe o valuta il rischio traffico, non può essere né il Cipe, formato dai ministri, né i ministeri. Con l’abolizione del price cap, inoltre, potrebbe determinarsi una collusione fra interessi privati e pubblici che fa aumentare le tariffe.

Perché’? Come si determinano oggi le tariffe?

Senza il price cap, gli aumenti sono meccanici, legati all’inflazione; poi c’è una parte variabile, legata ai lavori. Questi lavori sono fatti in house, cioè senza gara pubblica, direttamente dall’Anas insieme ai concessionari. C’è un interesse sia dell’Anas che dei concessionari, quindi, a fare sempre lavori e lavoretti. Potrebbero essere lavori che servono o che, opportunisticamente, servono solo a battere cassa e a legittimare l’aumento delle tariffe. E il problema che, senza un’Autorità indipendente, l’Anas è contemporaneamente regolatore e regolato. Senza evidenza pubblica chi determina il costo dei lavori? Anas che, come regolatore dovrebbe preferire il prezzo più basso, ma potrebbe volere esattamente l’opposto in qualità di regolato.

In pratica, con l’abolizione del price cap, Berlusconi ha creato un sistema che incentiva a costruire e, in ultima istanza, ad inquinare?
Il governo attuale sicuramente voleva semplificare; ma non avendo potuto mettere mano al cuore del problema ha stabilito una soluzione che potrebbe rilevarsi discutibile. Poi, in Italia, non è facile costruire. E costruire strade, in sé, non è antiambientalista. Se allargo una corsia, consumo terreno, ma riduco la congestione che è ciò che causa la gran parte dei gas serra.
Il problema è che il sistema adottato per rimpiazzare il price cap potrebbe favorire comportamenti opportunistici o razionali individuali, quali il desiderio di aumentare le tariffe e fare lavori per ricavare utili, che potrebbero avere esisti collettivi irrazionali, anche dal punto di vista ambientale. Qual è il vizio d’origine? Storicamente, lo Stato italiano è un regolatore debole e malleabile. I nostri concessionari sono di ottimo umore. Autostrade Spa ha la seconda redditività più alta in Europa. La Thatcher, invece, li faceva piangere.

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