I dati dei commerci Italia-Iran e il bluff di Berlusconi

Da Gerusalemme, Berlusconi ha sostenuto che, grazie a lui, i commerci con l’Iran sono in calo, a riprova dell’amicizia con Israele. Ciò è falso. Ecco i dati della Camera di Commercio Iran-Italia.

Berlusconi ha voluto sigillare mediaticamente la sua visita in Israele con l’impegno dell’Italia a stringere il cerchio delle sanzioni attorno ad Ahmadinejad e a bloccare le relazioni internazionali con Teheran. Ma i fatti, purtroppo, ci indicano che la strategia diplomatica di Berlusconi è un bluff, alimentato da un debole governo israeliano, anch’esso bisognoso, come il nostro, di attestare di fronte all’opinione pubblica, successi inesistenti volti a rafforzare consensi vacillanti.

Berlusconi ha dichiarato che dal 2007 gli scambi commerciali con l’Iran sono calati di un terzo.

In realtà, gli scambi sono aumentati ininterrottamente fino al 2008, per poi assestarsi durante la crisi: “L’Italia dal 2001 al 2007 è stato il primo partner commerciale dell’Iran. Lo scambio commerciale tra i due paesi è passato da 3,5 miliardi di euro a 6 miliardi di euro”. A parlare è il segretario generale della Camera di Commercio Iran-Italia, Jamshid Haghgoo. “Negli ultimi anni, l’Iran ha negoziato contratti con oltre 30 aziende provenienti da nove paesi europei per la realizzazione di progetti energetici nel Paese, nonostante l’aumento delle sanzioni internazionali e delle pressioni politiche”. Secondo la Camera di Commercio, la somma degli scambi Iran-Italia nel 2008 è aumentata del 1.2% rispetto al 2007. Anzi, le esportazioni italiane aumentano, mentre diminuiscono le importazioni.

Eni, intanto, sta guidando la seconda fase dello sviluppo del giacimento di Darkhovin per aumentarne la produzione da 50.000 a 160.000 barili al giorno (valore dell’operazione: 1 miliardo di dollari).

Dato che l’Italia è azionista di Eni, ridurre l’impegno di quest’ultima in Iran sarebbe la riprova dell’impegno del governo. Scaroni ha fatto sapere che il cane a sei zampe porterà a scadenza i patti sottoscritti, ma non ne rinnoverà altri. Peccato che il 3 febbraio il direttore operativo della compagnia petrolifera statale iraniana Nioc Seifollah Jashnsaz abbia smentito Scaroni, dichiarando che “le trattative con l’Eni per lo sviluppo della terza fase del giacimento di Darkhovin continuano”: per ora Jashnsaz non è stato smentito dal nostro governo ed Eni ha rifiutato di rispondere alla domanda posta dai giornalisti.
Intanto, nonostante la ribalta mediatica sia toccata al nostro gigante energetico, ci sono parecchie aziende italiane che, nell’ombra, continuano a fare affari.

Nel gennaio del 2008, ad esempio, Edison e l’iraniana NIOC hanno firmato un contratto di esplorazione del valore di 107 milioni di dollari per il centro di estrazione offshore Dayyer, situato nel Golfo Persico.

La Fata sta realizzando, inoltre, un impianto di oltre 300 milioni di euro per la produzione di alluminio primario a Bandar Abbas.

A gennaio di quest’anno, Maire Tecnimont ha siglato un accordo da 220 miliardi di euro per il gas. Secondo gli esperti di spionaggio dell’israeliana Debka, la Tecnimont parteciperebbe anche alle commesse del programma nucleare iraniano.

La Carlo Gavazzi Space, invece, sta costruendo il satellite militare Mesbah.
Mentre Ansaldo ha progettato le turbine iraniane di Karaji per 870 milioni di euro.

Iveco è il fornitore dei camion dell’esercito persiano e delle Guardie rivoluzionarie. La FB Design fornisce i motoscafi Levrievo all’esercito e, sempre secondo Defka, le Guardie rivoluzionarie girerebbero i Levrievo ad Hezbollah. La Seli vende i mezzi di movimentazione terra alla iraniana Ghaem che è stata accusata dagli americani di scavare i bunker dove avvengono le sperimentazioni nucleari del regime di Ahmadinejad.

Le aziende italiane che operano in Iran, in definitiva, sono il Gotha del capitalismo italiano: la Danieli-Duferco, Mediobanca, Eni, Telecom, Capitalia, Montedison, Falck.

Anche se Eni dovesse veramente andarsene dall’Iran, comunque, non sarà un grosso danno. I 15.000 barili al giorno che Eni ricava dall’Iran, o i probabili 160.000 alla fine dei lavori a Darkhovin, rappresentano un particolare trascurabile rispetto ad un totale che ammonta a 1,7 milioni di barile/giorno.

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